martedì 12 novembre 2013

QUANDO IL CIBO DIVENTA NEMICO

Il nostro modo di mangiare è, da sempre, un importante intermediario della nostra relazione con il mondo. Esso, però, non è sempre visto in un’accezione naturale come elemento fondamentale per la vita, e può diventare un avversario da combattere. Quando avviene questo? Quando si strutturano i cosiddetti DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare). Oggi parliamo dell’Anoressia. Quali sono le caratteristiche? Prima fra tutte il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per età e statura, mettendo in atto comportamenti che aiutano a perdere peso come l’uso eccessivo di lassativi e/o diuretici, l’eccessiva attività fisica o il vomito autoindotto. La persona che ne è colpita ha un’intensa paura di acquistare peso o di ingrassare, anche quando si è visibilmente sottopeso e si continua a dimagrire. Vi è, infatti, sempre un’alterazione della percezione corporea: le ragazze spesso si guardano allo specchio vedendosi deformate e grasse, quando l’immagine reale è di un corpo in sottopeso e gracile. La persona anoressica prova oltre a ciò un considerevole disagio quando si trova a dover mangiare in pubblico o in compagnia di altre persone e tende a mangiare da sola. I fattori psicologici scatenanti rimandano a contesti familiari vissuti in maniera conflittuale, bassa autostima e l’ambizione di riprodurre modelli estetici spinti agli estremi. Generalmente la persona colpita da anoressia tende a reprimere le proprie emozioni, non si sente libera di esprimersi con gli altri e nasconde spesso la propria condotta alimentare temendo il giudizio delle altre persone.
Il soggetto generalmente giunge all’osservazione medica sotto pressione dei familiari quando la perdita di peso si fa evidente. La difficoltà più grande per chi soffre di questi disturbi alimentari è proprio nella presa di coscienza del proprio disagio.  L’età di esordio dei sintomi dei disturbi alimentari è l’adolescenza, in casi meno frequenti anche prima dello sviluppo sessuale. Quando si manifesta in età adulta, può capitare in un’epoca della vita che riattiva dei conflitti irrisolti o la necessità di rinvigorire un’immagine di sé “giovanile”. Attualmente i criteri diagnostici maggiormente riconosciuti per la diagnosi dei disturbi del comportamento alimentare, sono quelli riportati nel DSM-IV-TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’American Psychiatric Association, 2001) e sono concordi nel ritenere che tali disagi sono determinati da una concomitanza di fattori, che possono interagire variamente e diversamente: fattori predisponenti o di rischio (es. il genere femminile, l’età, essere stati in sovrappeso nell’infanzia e avere fatto diete dimagranti); valori socioculturali peculiari del mondo occidentale come la richiesta di performance eccezionali e l’esaltazione della magrezza; fattori scatenanti o precipitanti possono favorire l’inizio della malattia come separazioni e lutti, alterazioni dell’equilibrio familiare, esperienze sessuali traumatiche, una malattia fisica acuta o un trauma non previsto. L’approccio migliore consigliato per questi disagi è di tipo multidisciplinare ed integrato e vede la collaborazione di molti specialisti (dietologi, endocrinologi, psicoterapeuti) coadiuvati dai medici di famiglia e dalla famiglia stessa.
Bibliografia di riferimento 
American Psychiatric Association (2001). Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders (4a ed.-revised). Washington, DC: APA.

American Psychiatric Association. DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali, 4th edizione, text revision, a cura di Andreoli V, Cassano GB, Rossi R, Masson, Milano 2001.
Dalla Grave, R. (2003). Terapia cognitivo-comportamentale ambulatoriale dei disturbi dell’alimentazione. Verona: Positive Press.
Fairburn, C.G. (2008). Cognitive Behaviour Therapy and Eating Disorders. New York: Guilford Press.




Virginia Maloni, Rivista Val Vibrata Life 2013
Articolo sulla Coppia Oggi presso la Rivista Val Vibrata Life 2013
ARTICOLO SULLA RIVISTA IBOO MAGAZINE OTTOBRE 2013 SUI "RAPPORTI DI COPPIA: SEGNALI DI CRISI E STABILITA'".

mercoledì 7 agosto 2013

Come prevenire la Depressione Post-Partum

Come prevenire la Depressione
Post-Partum

La Depressione post-partum è un disagio moderno, espressione di una società che cambia anche rispetto al ruolo femminile e alle continue aspettative che si costruiscono sulla figura della donna “wonder woman”. Spesso la gravidanza, insieme alle festosità della maternità, porta con sé emozioni poco felici che dipendono dal tempestivo cambiamento cui è sottoposto il fisico e la psiche della donna in questo delicato momento della sua vita. In alcuni casi, però, questo stato psichico di disorientamento e mestizia persiste per un periodo di tempo più lungo e si manifesta con una maggiore intensità: in questo caso si parla di depressione post-partum. Questo disturbo dell'umore colpisce il 10-20% delle mamme: crisi di pianto continue, senso di disperazione e scombussolamento, irritabilità generale, perdita e/o aumento dell'appetito e del sonno sono alcuni aspetti attraverso cui si manifesta questo disagio. Il primo elemento da valutare è se la persona ha già sofferto di depressione, l'ambivalenza rispetto alla gravidanza, la giovane età della futura mamma, un breve intervallo tra una gravidanza e l'altra, eventi stressanti, come la perdita del lavoro o di una persona cara e poi frequenti problemi di salute del bambino o un rapporto conflittuale con il partner o con il bambino stesso. Tra i segnali vi è la voglia di uscire meno ed interagire con gli altri e il bisogno di stare da sole poiché ci si sente inadeguate, investite dai sensi di colpa per l’incapacità di gestire la vita come prima. Cosa si può fare? Quando abbiamo emozioni negative, non dobbiamo averne paura come fossero il nemico, ma accettarle ed accoglierle in un dialogo interiore ed imparare ad esprimere rabbia, ansia e pensieri negativi senza sentirci giudicate ed imparare a chiedere aiuto perché questo non è un sinonimo di poca capacità. L’importante è prevenire ai primi segni di sintomi negativi, affidandosi al proprio medico di base che consiglierà l’eventuale ricorso a dei colloqui di sostegno con psicologi competenti. Il più delle volte i primi colloqui coadiuvati da una terapia di gruppo danno sollievo, allontanando la persona dai tabù sociali e dalla vergogna, riacquistando la piena percezione della propria vita che va riadattata ai cambiamenti che nella vita sono inevitabili.
VIRGINIA MALONI, 
Edizione Luglio-Agosto 2013 Giornale Val Vibrata Life

venerdì 14 giugno 2013

Cari amici, come avevo già detto in altri post, attraverso le Giornate di Psicologia Val Vibrata, è emersa l'iniziativa di istituire uno Sportello per le vittime di violenza e mobbing familiare, GRATUITO, presso il Centro di Psicologia in via Roma, 81 a Sant'Egidio alla Vibrata. Grazie alla distribuzione delle magliette con delle scritte di sensibilizzazione, SIAMO RIUSCITI A DARE VITA A CONSULENZE GRATUITE INDIVIDUALI E FAMILIARI E AD INCONTRI DI GRUPPO SERALI NEL PIENO RISPETTO DELLA PRIVACY. Stasera grazie a questa iniziativa ci sarà il primo gruppo per le persone che hanno usufruito del servizio. Ringrazio a nome di tutta l'equipe del Centro, quanti di voi hanno permesso la realizzazione di questi servizi GRATUITI. Molti di voi ci hanno richiesto di postare le maglie, potete richiederle per dare il vostro contributo.

lunedì 3 giugno 2013

La Coppia Oggi

Articolo pubblicato sul giornale Val Vibrata Life Press, edizione Maggio a cura della Dott.ssa Virginia Maloni

martedì 7 maggio 2013

L'Importanza dei Sogni per il Benessere Psicologico



L’uomo è sempre stato affascinato dai sogni e dal loro significato: la sensazione è che, essendo così misteriosi e apparentemente fuori dal controllo della nostra mente, celino qualcosa di importante e significativo. Il sogno è un immancabile accompagnatore delle nostre notti. Alcuni ricordano i propri sogni ogni mattina, con facilità; altri, invece, solo raramente trattengono le immagini dell’attività onirica oltre il risveglio. C’è anche chi afferma di non ricordarli mai: più un sogno è carico emotivamente, più viene censurato. Tutti, tuttavia, sogniamo ogni notte, più volte: non è possibile non sognare. Secondo i più recenti studi a riguardo si sogna affinché il cervello possa svegliarsi da quella sorta di coma cui va incontro tutte le notti e per farlo, ha bisogno di impegnarsi in una minima attività che è appunto rappresentata dal sogno; l’attività onirica permette, in questo modo, di tenere attiva la mente. Ma vi sarebbe anche un altro motivo che spiegherebbe la necessità di sognare. La motivazione è di natura psicologica e deriva da tutte quelle informazioni che bersagliano il cervello e che solo col sogno riusciamo ad elaborare, con il risultato di assistere al consolidamento della memoria a breve e lungo termine. Si sogna, infatti, tutte le volte in cui c’è un grosso carico emotivo o un momento di introversione; dunque il sogno deve essere visto come un mezzo per scaricare le tensioni psichiche della giornata. C’è anche un’ipotesi suggestiva che spiega i sogni: attraverso di essi si dà vita a desideri che da svegli sarebbero difficili o impossibili da realizzare. Il sogno rappresenta, in quest’ottica, la compensazione di fantasie e desideri rimasti incompiuti. I sogni rappresentano metafore che parlano dell’attualità psicologica di ciascuno e la comprensione del loro linguaggio è la via di accesso al loro significato. Inoltre, attraverso l’utilizzazione dei propri sogni è possibile creare un momento di ascolto e di riflessione su se stessi in grado di mettere l’individuo in contatto con quelle parti di sé meno coscienti.



Dott.ssa Simona Annunzi, collaboratrice del Centro di Psicologia Forense e Psicoterapia. Articolo scritto per il mensile Val Vibrata Life Aprile 2013

martedì 9 aprile 2013

QUANDO LA TIMIDEZZA DIVENTA UN PROBLEMA?

A cura della Dott.ssa Valeria Conocchioli
La timidezza traduce un senso per lo più abituale di disagio provocato da timore, pudore o soggezione, che si realizza in un comportamento esitante e impacciato, talvolta anche scontroso. È un sentimento che si presta alle più svariate interpretazioni. Coinvolge infatti un’ampia gamma di emozioni e a diversi gradi di intensità: dalla semplice esitazione derivante da pudore o ritegno, al terrore che paralizza e compromette così la qualità delle relazioni sociali.
La stessa etimologia del termine è alquanto dibattuta: chi lo fa derivare dal latino “timēre” (temere), chi dal greco “τιμή” (timè: stima, venerazione) quasi a intendere la titubanza che viene dalla riverenza. Il timore provato deriva dalla percezione di essere “un libro aperto”, di non poter opporre alcuna difesa nei confronti dell’altro che avanza verso di noi invadendo la nostra sfera personale, portando alla luce e giudicando debolezze e insicurezze che vorremmo rimanessero nascoste. Esse derivano spesso dal contesto di appartenenza dell’individuo, dalla sua storia familiare e da pregresse esperienze non molto positive.
Si tratta di aspetti della personalità che hanno radici profonde e, in un certo qual modo,  accompagnano, definiscono e identificano il soggetto. Diversa è invece la timidezza patologica caratterizzata da un’interiorità in cui permangono residui del mondo infantile e sentimenti di vergogna, paura e senso di colpa che l’individuo non riesce a elaborare e accettare come caratteri del proprio io. Da qui la resistenza a confrontarsi con situazioni di coinvolgimento sociale percepite come troppo invasive o che richiedono una messa in mostra di sé e della propria personalità.
La timidezza in questo contesto viene a definirsi patologica in quanto implica nel tempo un malfunzionamento del soggetto nelle relazioni interpersonali e lavorative e conduce a uno stato di sofferenza che spinge all’ adozione di condotte di evitamento. Un intervento adeguato dovrebbe in tal caso proporre un “contesto” rassicurante, distensivo, che permetta di riconoscere, circoscrivere ed elaborare il dolore, superare la fase di negazione attraverso un confronto con il proprio vissuto, abituare il soggetto alla presenza dell’altro e spronarlo al riconoscimento delle proprie capacità.

Dott.ssa Valeria Conocchioli, insegnante, collaboratrice del Centro di Psicologia forense e Psicoterapia.
Articolo pubblicato per la rivista Val Vibrata Life Press del mese di marzo 2013.

venerdì 8 marzo 2013

IV EDIZIONE GIORNATE DI PSICOLOGIA VAL VIBRATA

CARI AMICI, OGNI ANNO IL CENTRO CLINICO ORGANIZZA LE GIORNATE DI PSICOLOGIA APERTE A TUTTA LA CITTADINANZA. QUEST'ANNO GRAZIE AGLI SPONSOR, E' STATO POSSIBILE APRIRE UNO SPORTELLO PER LE VITTIME DI VIOLENZA, DALL'ADOLESCENZA ALL'ETA' ADULTA, VIOLENZE CHE SI COSTRUISCONO ANCHE ALL'INTERNO DEL LEGAME DI COPPIA. LO SPORTELLO SARA' APERTO TUTTI I GIORNI, E IL FINE SETTIMANA C'E' UN NUMERO D'EMERGENZA CHE COMUNICHEREMO IL GIORNO DEL CONVEGNO, CHE SI TERRA' IL 23 MARZO A SANT'EGIDIO ALLA VIBRATA DALLE ORE 10, ALLE ORE 17 PRESSO LA SALA CONSILIARE DEL COMUNE IN PIAZZA UMBERTO I. L'EVENTO E' GRATUITO ED APERTO A TUTTI, ANCHE CHI NON E' DEL SETTORE, POICHE' L'OBIETTIVO E' QUELLO DI COMUNICARE CON LA CITTADINANZA PER PARLARE DEI PROBLEMI SENZA TABU' E PROMUOVENDO IL CONFRONTO.


martedì 5 marzo 2013

A cosa servono le emozioni?

Autore: Dr. Fabio Irelli

Le emozioni sono composte sia dagli umori sia dagli affetti: l’umore è un’emozione senza oggetto intenzionale che caratteristicamente si prolunga nel tempo, mentre l’affetto è un’emozione diretta a un oggetto intenzionale che generalmente ha una durata più breve. In questo senso, la disforia è un umore caratterizzato da tensione, irritabilità, nervosismo che la persona non sa spiegare, mentre la rabbia, anch’ essa caratterizzata da un simile stato d’animo, è indirizzata però su un oggetto specifico che è colto come la causa della rabbia stessa.
E’ proprio dalla dialettica tra umori e affetti, vale a dire da quel bisogno che l’uomo ha di interrogarsi sui suoi umori per trasformarli in affetti, dotandoli quindi di una causa evidente, che possiamo comprendere le principali funzioni delle emozioni: tenerci agganciati al mondo selezionando specifiche modalità di azione, guidarci nella comprensione delle azioni altrui e infine nella conoscenza di se stessi. Proviamo a capire perché. Immaginiamo di entrare in una stanza poco illuminata e di scorgere qualcosa in un angolo.
Potremmo chiederci: “È un serpente o un pezzo di corda?” Mentre i nostri pensieri oscilleranno tra le due possibilità, saremo paralizzati nella nostra decisione, vale a dire esplorare la stanza o fuggire via? Sarà il nostro coraggio o il nostro timore a farci scegliere l’una o l’altra ipotesi, permettendoci in tal maniera di tornare ad agire superando la paralisi del dubbio. Le emozioni, infatti, svolgono un ruolo fondamentale nel trasformare l’ambiente da luogo in cui ogni stimolo-oggetto ci appare come spoglio di qualsiasi funzione e quindi d’interesse e senso, a luogo in cui viene generata la possibilità di percepirlo come rilevante per i nostri scopi, attraente o repellente, buono o cattivo, determinando conseguentemente il nostro agire.
Anche la possibilità di comprensione delle azioni altrui, in un mondo sociale molto complesso come quello umano, è fondata sulla capacità di risuonare con le emozioni degli altri, cioè sulla riproduzione involontaria e implicita di ciò che l’altro prova nel compiere quella certa azione. Tra l’altro la base biologica di questi fenomeni è stata scoperta, non molti anni fa, in una popolazione di neuroni chiamati, appunto, “neuroni specchio”. La riflessione sulle mie emozioni, infine, è la via regia per la conoscenza di me stesso, infatti, sono le mie emozioni che mi informano che quella è una mia azione nel senso etico del termine, cioè essa non è solo compiuta da me, ma fa parte della mia identità o viceversa possono farmi sentire che tra ciò che io sembro essere agendo in un certo modo e ciò che sento di essere c’è una sostanziale differenza. Sì, le emozioni rappresentano la bussola della nostra esistenza.

a cura del Dottor Fabio Irelli, Giornale VAL VIBRATA LIFE, Febbraio 2013.

giovedì 7 febbraio 2013

Stalking, Consulenza Tecnica e Sostegno

Il termine Stalking, dalla parola inglese “to stalk”, indica un insieme di comportamenti persecutori tramite i quali un individuo affligge un’altra persona con ingerenze insistenti nella vita quotidiana. Ciò avviene in maniera indiretta, es. pedinando la persona, informandosi sulle sue attività, cercando di contattarla continuativamente tramite sms, chiamate telefoniche, mms, email, social network, o in maniera diretta tramite appostamenti, entrando dentro casa in maniera forzosa, fino a scaturire in atti violenti: insulti, minacce, aggressioni, omicidio.
Tutte queste azioni sono subite dalla vittima di stalking in maniera continuativa, a tal punto da provocarle un sentimento di ansia e di angoscia, con conseguenze che portano anche a modificare le proprie abitudini di vita per evitare di trovarsi in tali situazioni. Di conseguenza ci si estranea dalle relazioni sociali che si tengono normalmente, cadendo in uno stato di apprensione e di solitudine.

La violenza psicologica porta ad un deterioramento dello stile di vita delle vittime che a volte desistono dal denunciare i comportamenti molesti nell’angoscia che una reazione alle minacce potrebbe comportare reazioni violente dello stalker, fino alle conseguenze più estreme.
Molte persone, per timore di ricevere nuove molestie, evitano di uscire di casa, non riescono a mantenere il proprio lavoro, non sono in grado di instaurare nuove relazioni di amicizia e quindi non riescono a salvaguardare la propria quotidianità.
Molte vittime, in seguito a tali esperienze, soffrono di ansia, depressione o disturbo post-traumatico da stress, nella peggiore delle situazioni la vittima può subire vere e proprie forme di violenza da parte dello stalker. Statisticamente accade laddove lo stalker è un ex-partner.

LA LEGGE SULLO STALKING
Lo stalking consiste in “atti persecutori “ nei confronti di una vittima determinata ed è punito come reato dall’articolo 620 bis del Codice penale, introdotto con il Decreto legge del 23 febbraio 2009.
Se sei vittima di stalking sei tutelata dalla legge, l’articolo 8 della legge 38 del 2009 prevede l’ammonimento al tuo persecutore da parte della questura della tua città.
In base a questa norma, puoi rivolgerti alle autorità di pubblica sicurezza, chiedendo al questore un ammonimento nei confronti dello Stalker (autore della persecuzione). Se il questore dopo aver raccolto le informazioni dai testimoni ne ravvisa la necessità ammonisce verbalmente lo stalker. Se la persecuzione continua, presentata la querela, lo stalker colpevole di atti persecutori contro la stessa vittima vedrà aumentata la pena.
Lo Sportello Antiviolenza del Centro Clinico di Psicologia Forense e Psicoterapia (Sant'Egidio alla Vibrata in via Roma, 81; Roma, via Zara, 13) accoglie le vostre problematiche in merito offrendo supporto legale e psicologico. 


Virginia Maloni

venerdì 1 febbraio 2013

Fotografia come Stimolatore Emozionale



La fotografia da sempre ha immortalato dei momenti speciali, oggi con la rivoluzione del telefono, che è in grado di fare fotografie ad alta risoluzione, siamo in grado di compensare momenti di noia o di vuoto, attraverso momenti fotografati che ci restituiscono l’enfasi dell’istante vissuto. Sono molteplici le mostre fatte da autori che rilevano il legame tra fotografia e sensazioni sessuali-emotive. La nostra è un’epoca dell’immagine, dell’estetica, dell’esteriorizzazione della propria vita privata: il senso visivo concede alle persone la possibilità di comunicare velocemente in una lingua che tutti capiscono. Nel suo libro Sulla fotografia (1977) Susan Sontag ha sostenuto che "la fotografia è 'principalmente un rito sociale, una difesa contro l'ansia, uno strumento di potere".

La fotografia cattura il luogo oscuro e misterioso tra il conscio e l'inconscio. Di solito, si fotografano dei momenti intrisi di emozioni e sensazioni piacevoli, dove le passioni, le paure, l’autenticità e tanti altre sfaccettature camuffate trovano dimora.
La fotografia è sempre stata una delle più importanti forme d'arte. Tuttavia fotografare, è pure il modo migliore per esprimere sentimenti cristallizzati in situazioni speciali che non si vogliono dimenticare. Quante volte, riporto alla mente ricordi ed epoche importanti della mia vita e ho bisogno di vedere le immagini che ricordo in testa attraverso album storici. Le foto sono uniche e irripetibili: la fotografia narra della vita che ci circonda, infatti, molto spesso la tecnica di disporre le foto di diverse età della vita una accanto all’altra viene utilizzata in psicoterapia. Io personalmente la uso moltissimo, e vedo che è in grado di rievocare emozioni e di abbassare le difese, togliendo le maschere ed esprimendo quello che si è e che si ha paura di non essere più o viceversa.

Nel 1993 Judy Welser e Linda Berman hanno individuato nella Fototerapia un mezzo per facilitare l’analisi del proprio mondo emozionale e del rapporto col sistema familiare di appartenenza. Il metodo consiste nella ricerca del potenziale evocativo e simbolico suscitato dalle fotografie portate dalla persona, quasi rappresentassero una specie di diario che, nel suo dispiegarsi e commentarsi, porta alla luce momenti cruciali della propria esistenza. La fotografia manifesta un mondo: il bisogno di conservare la nostra memoria, riportando in vita aspetti talora nascosti. Nella singola foto possono veramente viversi molte storie. La foto commuove, per un attimo ci porta nel passato, ci fa vedere come gli altri ci vedono, e ci fa pensare a come eravamo noi, a come ci sentivamo, riconoscendo noi stessi e le nostre radici. 
Virginia Maloni

venerdì 25 gennaio 2013

Tradizioni Popolari, Identità e Senso d'Appartenenza



Il contesto storico-sociale in cui viviamo influisce sulla nostra identità sociale e culturale. L’identità’ si acquisisce con la socializzazione, attraverso la famiglia e la cultura con cui ci si trova. Per formare l’identità, il soggetto deve aggregarsi, sviluppando in lui il senso di appartenenza. Tra cultura e identità c’e’ un legame profondo: l’analisi e lo studio delle culture consentono la ricostruzione dei sistemi di senso, e quindi il complesso dei valori e delle credenze di una società. Per sentirsi parte di quella società si promuovono feste, fiere, mercati, sagre che valorizzano la natura e il territorio. La festa è una finestra attraverso cui si ripete la tradizione ed è l'arco temporale di una comunità, avendo assaggi del passato che si riepiloga sul presente. La festa costituirebbe, per eccellenza, l'esperienza fondamentale e costitutiva del gruppo. Attraverso le tradizioni popolari si possono riscoprire le proprie radici: l’individuo nella società moderna è spersonalizzato e riappropriarsi delle proprie radici significherebbe recuperare il proprio senso di appartenenza. Il territorio non è una semplice realtà geografica, ma comprende lo spazio vissuto, i luoghi della fanciullezza, le strade della borgata, il vicinato: un complesso di rapporti sociali, di abitudini, di riti, di credenze, che determinano uno stretto rapporto economico, sociale, affettivo con esso. Gli individui, per superare la solitudine e l’isolamento e compensare gli aspetti impersonali e insicuri della vita moderna, vogliono trovare, anche inconsciamente, un’identificazione reciproca con gli altri, basata sui legami, sulla condivisione di interessi, bisogni, valori e storie di vita, ricercando un senso di appartenenza alla collettività. Queste manifestazioni mirano alla formazione dell’Io Sociale che si costituisce in rapporto con gli altri nelle circostanze che una determinata comunità dà come finalità.
 Virginia Maloni

Articolo pubblicato nella rivista VAL VIBRATA LIFE del mese di Gennaio 2013